Neuroimaging e soggettività

SEGNALAZIONE

Finalmente qualche raggio di luce sulla ns categoria. Articolo a favore della nostra categoria. Fate girare ai colleghi, tralasciando le sigle, gli schieramenti e coalizioni varie.

Se già tra di noi abbiamo blocchi mentali e manifestiamo incomprensioni; quando mai possiamo essere di esempio vs. l’opinione pubblica.

L’Ordine è uno solo non vivisezioniamoci da soli, visto che lo fa’ già una certa stampa e quella larga parte di opinione pubblica (disinformata, perchè mai educata, perchè priva di conoscenza).

Non rappresento nessuna sigla o schieramento, desidero solo dare + dignità alla ns. categoria troppo sottovalutata e bistrattata.

Sono solamente un Collega (un granello di sabbia, nell’oasi della conoscenza, circondata dal vasto deserto) che desidera far conoscere al + vasto pubblico le enormi potenzialità offerte dalle Scienze Psicologiche.

Con queste newsletter state facendo un lavoro egregio. Grazie.

Alla prossima …

Lettera firmata

TESTO ARTICOLO

Tratto da La Stampa, 23 settembre 2009

Andrea Rossi

La psicoterapia cambia il cervello

Medicina psicosomatica. Aree attivate e spente. Sul lettino modificazioni biologiche simili a quelle dei farmaci.

La risonanza magnetica riabilita gli eredi di Freud: “Una svolta che cambierà il modo di concepire la malattia”.

C’è un uomo che ha paura dei ragni. Ne ha uno davanti. La fotografia del suo cervello mostra che una parte – l’area pre-frontale laterale destra – si attiva, stimolata dalla sua paura. Qualche tempo dopo lo stesso individuo non ha più alcuna reazione. Guarda un ragno, eppure reagisce in modo “normale”, come quello di chi non è assalito da impulsi di terrore. Il cervello è cambiato: la struttura neuronale si è modificata e tutto senza utilizzare alcun farmaco. Soltanto con la psicoterapia. La risonanza magnetica funzionale può dare la misura di una delle “rivoluzioni” che verranno presentate a Torino da oggi a sabato nella 4 giorni del 20° congresso mondiale di medicina psicosomatica. La terapia della psiche è in grado di far cambiare forma e anche attività al cervello: non solo contrasta ansie e fobie, ma regola anche le risposte agli stress causati dalle malattie. Agisce, infatti, sui circuiti neurobiologici. “Ha lo stesso effetto dei farmaci anti-paura, insomma “, spiega Secondo Fassino, direttore del Centro universitario per i disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale Molinette di Torino che ospita il congresso. Un processo consolidato negli anni, a partire dagli studi di Til Wykes. Con i suoi collaboratori, già nel 2002 e poi nel 2007, ha dimostrato con una risonanza magnetica che un tipo di psicoterapia – la “Crt” – aveva sui soggetti schizofrenici gli stessi effetti positivi dei farmaci anti-psicotici. “Ecco, quindi, che il modello psicosomatico, valorizzando le terapie psicologiche anche nelle malattie del corpo, può essere la base per una nuova medicina – spiega Fassino -. Nei prossimi anni i trattamenti psichiatrici diventeranno essenziali per migliorare e umanizzare l’assistenza soprattutto nei campi dell’oncologia, dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari”. Serve, di conseguenza, un approccio “olistico” alla persona e non solo settoriale all’organo malato: si parte dai disturbi della psiche per curare le malattie più “classiche”.

Una prova importante, in questo senso, è la scoperta – grazie a tecniche di “neuroimaging”, come la risonanza magnetica funzionale – che la psicoterapia è in grado di modificare l’attivazione di aree specifiche cerebrali, permettendo all’individuo di gestire meglio le emozioni negative: dall’ansia alle paure. Si tratta di evidenze che nascono dalle scoperte del Premio Nobel Eric Kandel, famoso per aver dimostrato l’insorgere di alcune modificazioni sull’espressione dei geni.

Ulteriori prove arrivano dai test all’Università di Montréal: la possibilità di gestire meglio le emozioni legate alla sofferenza è indispensabile per l’affermarsi di una medicina più avanzata. “Spesso, infatti, gli stress si trasformano in disturbi mentali, aggravando la malattia organica”, sottolinea Fassino. Non solo. Altre ricerche con il “neuroimaging” hanno fotografato in pazienti depressi la “normalizzazione” dell’attività cerebrale dopo una psicoterapia di qualche mese: l’effetto è paragonabile a quello dei farmaci antidepressivi, con precise basi biologiche.

Uno dei protagonisti di queste scoperte è Claude Robert Cloninger, professore alla Washington University School of Medicine di Saint Louis, Usa, dove dirige il “Laboratorio di biopsicologia della personalità “. L’Io – spiega – è costituito da una parte stabile (il temperamento), legato alla genetica, e da un’altra parte (il carattere), che muta a seconda delle circostanze. Ecco perché molte terapie farmacologiche e anche chirurgiche – come la gastroplastica negli obesi – possono essere “modulate” in modo personalizzato, se si studiano i pazienti prima e dopo le cure. Del resto Georg Northoff della Otto-von-Guericke University di Magdeburgo, in Germania, ha dimostrato che l’angoscia che si trasforma in somatizzazione, come nelle paralisi isteriche, non è frutto di suggestione: è il frutto dell’attivazione o dell’inibizione di specifici circuiti cerebrali.

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLA DR.SSA ANNA BARRACCO

L’ articolo a partire dalle nuove tecniche di imaging cerebrale, porta l’attenzione sulla possibilità di “verificare”, o forse sarebbe meglio dire “rendere visibili” gli effetti delle terapie, che siano psicologiche o farmacologiche, a livello biologico, cioè nella modificazione dei circuiti neuronali.

Apparentemente l ‘articolo è tutto a favore dell’intervento psicologico. Si parla dell’importanza di un approccio “olistico”, e di una scienza attenta alla complessità dell’incontro fra mente e corpo.
Tuttavia questa sorta di equazione farmaco = psicoterapia, se in prima battuta sembra essere tutta sbilanciata a favore della psicoterapia, d’altra parte si può facilmente osservare che la semplice constatazione che la psicoterapia, come ogni altra esperienza cognitiva e di apprendimento, come ogni esperienza psico-corporea complessa, “si scrive” nel corpo, e in particolare nel cervello, non dice nulla della qualità soggettiva di questa esperienza.

In altri termini, un eccessivo trionfalismo e un approccio semplicistico nel far seguire alle immagini – cioè alla visualizzazione degli effetti di un intervento a livello del cervello – un’interpretazione o una serie di interpretazioni, potrebbe facilmente portare a trascurare che quel che conta, in un percorso di cambiamento, sono i processi e non tanto i risultati. Dunque non è ciò che si scrive o non si scrive a livello biochimico, quanto gli effetti soggettivi di apprendimento che si producono.
In questo senso, certamente un apprendimento, un processo ottenuto attraverso un percorso come la psicoterapia, difficilmente potrà essere davvero paragonabile al cambiamento che si ottiene con un farmaco, anche se le aree cerebrali interessate possono senz’altro essere analoghe.

Insomma, una cosa è avere una nave che può portare in salvo, da una sponda all’altra del fiume, venti passeggeri, altra cosa è dire che si è scoperto che di questo tragitto è possibile tracciare la mappa, con un satellite. La traccia del satellite, non corrisponde al viaggio …(nota: citato a memoria e liberamente tratto da: Dino Angelini, orizzonti psy, settembre 2009).

Il rischio, in termini pratici, potrebbe anche essere quello di ribaltare l’equazione, per cui se la psicoterapia produce benefici paragonabili al farmaco, ergo farmaco e psicoterapia sono equivalenti, ergo …. il farmaco è più pratico e più a portata di mano, anche culturalmente, forse.

INTERVISTA/PARERE DEL PROF. CARLO UMILTÀ

Abbiamo approfondito il tema con il prof. Carlo Umiltà, ordinario di neuropsicologia dell’Università di Padova, che ci ha permesso di verificare l’attendibilità e la correttezza di quanto riportato nel testo apparso sulla “Stampa”.

Domanda: Prof Umiltà, è corretto il confronto/equazione che viene fatto nell’articolo, fra interventi psicoterapeutici e farmacologici?

Risposta: Sia l’intervento farmacologico che l’intervento psicoterapeutico agiscono sul cervello. Nulla si modifica nella nostra mente se non a causa di unamodifica nei processi neuronali nel nostro
cervello. Per fare un esempio: anche l’analisi del transfert nella terapia psicoanalitica ha un effetto soltanto perchè modifica le rappresentazioni neuronali di certe “figure”rilevanti per il paziente. Ciò però non esclude che l’intervento farmacologico e l’intervento psicoterapeutico agiscano attraverso meccanismi neuronali diversi. Mi aspetto, perciò che i due interventi portino all’attivazione di aree cerebrali diverse.

Domanda – Il fatto che alcune aree si colorino in modo analogo, e che a questo corrisponda la sparizione di una paura, di una fobia, è sufficiente per dire che interventi così diversi possono in realtà essere sovrapposti?

Risposta: E’ assolutamente necessario non farsi ingannare dai colori che caratterizzano le ricerche di neuroimmagine. I colori sono dei semplici accorgimenti grafici, che hanno uno scopo molto banale: permettere una approssimativa e grossolana valutazione immediata dei risultati.
Molto spesso i colori non segnalano neppure diversi livelli di attivazione delle varie aree ma semplicemente segnalano il risultato di una procedura di inferenza statistica. Segnalano che probabilità ci sono che in ciascuna area sia stato commesso un errore di primo tipo (che, cioè, sia stata rilevata un’attivazione che non c’è). Va tenuto ben presente che, a dispetto dei colori, non è vero che si possano osservare direttamente le aree attive nel cervello. Le aree attive del cervello si possono inferire attraverso un lunga e complicata sequenza di operazioni statistiche, tutte soggette alla possibilità di errore.

Fatta questa premessa, non voglio assolutamente sostenere che due interventi così diversi possano essere sovrapponibili. Mi sembra, anzi, una possibilità molto remota. Come ho detto sopra, i meccanismi neuronali sono certamente molto diversi nei due casi. Sempre di meccanismi neuronali si tratta, però.

Domanda: Non pensa che ci possa essere il rischio di un nuovo riduzionismo?

Risposta: Si, certamente. Io però non vedo il riduzionismo come un rischio. Ormai credo sia impossibile sostenere un dualismo mente/cervello. Mente e cervello sono la stessa cosa e sono studiati unitariamente dalle neuroscienze cognitive, delle quali la psicologia fa parte.

Domanda: L’intervento farmacologico o biochimico certamente non genera apprendimento; non si corre il rischio ,con questo tipo di affermazioni, di “remare contro”, paradossalmente, ad una modalità davvero integrata, che implichi dunque il mantenimento della peculiarità di ciascun intervento?

Risposta: Ripeto: i meccanismi neuronali dell’intervento farmacologico (che è sinonimo di biochimico) e quelli dell’intervento psicoterapeutico sono, con ogni probabilità, diversi. Non vedo perchè l’intervento psicoterapico non possa essere il più efficace dei due. La ragione di questa maggiore efficacia può proprio risiedere nel fatto che l’intervento psicoterapeutico è il solo a
coinvolgere processi di apprendimento. Ma anche i processi di apprendimento dipendono da meccanismi neuronali.

Domanda. Ovvero a suo avviso questo tipo di obiezioni rilevano semplicemente di
una atavica diffidenza del mondo “psi” a confrontarsi in modo sano e moderno con le discipline neuropsicologiche?

Risposta. Se si è dualisti (ma è molto difficile esserlo nel nostro tempo), allora si può continuare a parlare di mondo “psi”. Secondo me, però, questa è una battaglia di retroguardia, già perduta. Il mondo “psi” è caratterizzato non da contenuti ma da metodi. I processi mentali umani sono studiati da un insieme di discipline, che sono raccolte sotto il nome di neuroscienze cognitive. Ciascuna disciplina che appartiene alle neuroscienze cognitive è caratterizzata da dei metodi di indagine specifici, non dai contenuti dell’indagine, che sono, in tutti i casi, i processi mentali. Psicologia e neuropsicologia appartengono alle neuroscienze cognitive e sono caratterizzate dai loro specifici metodi di indagine.

CONCLUSIONI INTERLOCUTORIE DELLA DR.SSA ANNA BARRACCO

Innanzi tutto si evince quanto ancora semplicistiche e davvero grossolane sono le conclusioni che, dagli ambienti della ricerca, vengono poi esportate al grande pubblico, attraverso la comunicazione giornalistica, anche di buon livello.

Il professore infatti ci chiarisce che le aree di colorazione sono solo approssimazioni statistiche, che consentono di ridurre il margine di errore che consiste nella possibilità che quella data zona sia effettivamente attivata o meno (margine di errore che è sempre abbastanza elevato, ci dice lo specialista). Il professore inoltre sostiene che le aree interessate dai due interventi dovrebbero essere differenti, così come sono differenti i meccanismi neuronali sottesi; Le aree colorate possono anche eventualmente essere analoghe, ma i circuiti coinvolti e i meccanismi neuronali sono invece diversi.

Ma al di là di queste precisazioni, che certamente obbligano ad essere più prudenti, rimane la perplessità di fondo.

Misurare i parametri fisiologici, cercare di visualizzare gli effetti di un determinato intervento costituisce, sembra, una modalità di verifica o almeno di conferma della validità di determinati interventi.

Almeno con queste intenzioni il dato viene offerto al grande pubblico, nell’articolo di Andrea Rossi.

Volendo anche lasciare a lato la questione di quale dei due trattamenti – se quello chimico o quello psicoterapeutico – sia preferibile, resta a chi scrive il dubbio dell’effettiva trasponibilità (e soprattutto dell’utilità, ai fini della validazione della psicoterapia e della sua efficacia) di queste immagini, ma anche in generale, per costruire modelli più moderni e protocolli integrati di trattamento, come invece il giornalista sembra auspicare.

La cura di un soggetto parte dalla sua domanda, dal suo vissuto soggettivo, che è il risultato complesso delle sue interazioni e delle esperienze precedentemente accumulate. Certo che queste esperienze hanno un correlato biologico, ma questo precipitato in sé e per sé ci dice ben poco.

Dire che mente e cervello sono la stessa cosa può essere vero, se si intende che tutto si scrive nel tempo, nel cervello ,e che le esperienze modificano la struttura biologica, in una interazione continua. Può essere vero, certamente, e persino ovvio, se si intende dire che venuto meno il cervello e la sua funzionalità, viene meno la mente e ogni tipo di esperienza.

Tuttavia questo non esaurisce la questione dell’apprendimento, dell’invenzione, dell’esperienza sociale che non è riducibile al precipitato, all’effetto biologico che la complessità dell’esperienza biopsicologica produce nell’organismo, ma che è coglibile solo a partire dall’esperienza soggettiva.

Cercare di distinguere lo studio del soggetto da quelli che ben possono essere i correlati biologici che permettono di “tracciare” con sempre maggiore precisione, magari, questa dimensione, non significa, penso, essere “dualisti”.

E’ verissimo che la “mente” o il mondo “psi”, non sono contenuti, ma processi, e che le diverse discipline di indagine psicologica hanno loro strumenti e loro metodi per indagare questi processi.

E’ corretto però, a partire da queste premesse, pensare che i processi soggettivi potranno essere un giorno studiati e accostati con i metodi delle scienze sperimentali?

Questo a mio avviso è la questione, che certamente non vuole aprire ad alcuno spiritualismo, né ad alcun dualismo meccanico, ma a considerare che articoli come questo, pur con le migliori intenzioni, tendono a voler sostituire all’inferenza .”E’ visibile nel cervello, dunque agisce”, questo tipo di inferenza : “è visibile nel cervello, quindi è efficace”.

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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2 Comments

  1. spero che con questo articolo agli psicologi venga meno quel senso di inferiorità che li attanaglia da decenni verso i medici. Sono stato sempre convinto che noi abbiamo una marcia in più dei medici.Chi si è pianto sempre addosso non ha capito nulla della psicoterapia o forse….non sa proprio cosa sia. Un caro saluto a tutti. Mariani Ulisse

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    • Totalment in accord con Mariani. Finalmente qualcuno che pensa bene.

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