Divorzio e famiglia allargata rovinano i bambini?

SEGNALAZIONE


So che è un tema impegnativo, ma non dovremmo dire qualcosa di più sensato sul divorzio più preciso e professionale di quello che ha detto il Papa. Qualcosa sappiamo. Papa Benedetto XVI è un teologo di prim’ordine, direi tra i cinque migliori dello scorso secolo, ma come psicologo del tutto fuori strada nella sua polemica contro la famiglia allargata e soprattutto generico e colpevolizzante di tanti genitori che ieri come oggi, sono stepfather e stepmother con la fatica che comporta e l’amore cristiano che esso richiede.

Michele Maresca

TESTO ARTICOLO

Il Segnalante si riferisce a parole del Pontefice riprese dai principali media. Riportiamo qui, come esempio, un articolo apparso in LaStampa.it il 25 settembre 2009:

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200909articoli/47653girata.asp

Il Papa contro divorzio e convivenza: «Provocano malessere e abbandono»

CITTÀ DEL VATICANO
Orfani con troppi genitori, tristi, smarriti, spesso abbandonati a sé stessi: sono, secondo Benedetto XVI, i figli delle famiglie allargate, vittime di un «assedio» alla famiglia cristiana che è anche attacco al «tessuto della società» al quale la Chiesa cattolica «non può assistere indifferente».

Papa Ratzinger passa al contrattacco rilanciando con forza i valori della famiglia tradizionale, e affermando la «solidità della famiglia cristiana» opposta alla «fragilità» delle coppie di fatto e delle famiglie allargate frutto dei divorzi. Lo fa rispondendo alle preoccupazioni espresse dai vescovi del Brasile, in questi giorni in visita “ad limina”, ma anche alla vigilia della sua partenza per la Repubblica ceca, dove il 66% della popolazione si dichiara agnostica pur vivendo nel cuore di un’Europa di cui molti rivendicano le radici cristiane, preannunciando, forse, uno dei possibili temi che vi intende affrontare.

I giovani, «per essere istruiti ed educati – ha ammonito il pontefice – hanno bisogno di riferimenti estremamente precisi e concreti, di genitori determinati e certi che in modo diverso concorrano alla loro educazione. Ora – ha aggiunto – è proprio questo principio che la pratica del divorzio sta minando e compromettendo con la cosiddetta famiglia allargata e mobile, che moltiplica i ‘padrì e le ‘madrì e fanno in modo che la maggioranza di quelli che si sentono ‘orfani non siano i figli senza genitori, ma i figli che ne hanno troppi». «Questa situazione, come l’inevitabile interferenza e intreccio di relazioni – ha proseguito – non può non generare conflitti e confusioni interne, contribuendo a crescere e imprimere nei figli una tipologie alterata di famiglia, assimilabile in qualche modo proprio alla convivenza, a causa della sua precarietà». Una dissoluzione del tessuto sociale, secondo papa Ratzinger, che non è frutto del caso, ma il risultato di «forze e voci che sembrano volte a demolire la culla naturale della vita umana».

Sotto accusa finiscono, fra gli altri, «le società occidentali che hanno legalizzato il divorzio», ma anche cinema, televisione e mass media che hanno contribuito a promuovere «stili di vita relativisti» che «illudono e seducono». Sta quindi ai sacerdoti, ma anche alle famiglie rimaste fedeli ai valori cristiani, non solo difendere i propri fedeli o i propri figli, ma riaffermare modelli in grado di ricostruire il tessuto della stessa società. E Benedetto XVI ne elenca gli obiettivi: grazie alle famiglie «che traggono le loro energie dal sacramento del matrimonio», «tornerà possibile superare la prova della vita, saper perdonare un’offesa, accogliere un figlio che soffre, illuminare la vita dell’altro, anche quando sia debole o limitato, mediante la bellezza dell’amore». «Ha perfettamente ragione», ha commentato il leghista Roberto Castelli, ex ministro della Giustizia e ora viceministro delle Infrastrutture, con alle spalle un divorzio, due matrimoni e due famiglie allargate, a suo dire «tutta colpa del ’68».Forse un nuovo segno di «corteggiamento» della Lega alla Chiesa, dopo le incursioni di Bossi alla Cei e in Vaticano.

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DEL DR. LUIGI D’ELIA

Questa segnalazione rappresenta una vera sfida per noi dell’Osservatorio.

Ci siamo domandati e ridomandati sull’opportunità di commentare le dichiarazioni del Papa il quale, parlando come guida e capo spirituale di milioni di persone, non ha certo pretese di esprimere valutazioni scientifiche, bensì morali e religiose.

Ci si ritrova perciò nell’impasse da un lato di non potercela cavare diplomaticamente separando artificiosamente ambiti dell’esperienza umana che convergono quando si parla del tema, a noi psicologi caro, della salute delle famiglie e dei bambini, e dall’altro lato, memori di ciò che a Cesare spetta o non spetta, vogliamo mantenere una doverosa distinzione tra il discorso morale-religioso e quello scientifico, purché questa distinzione non diventi un muro, bensì un confine dialogante.

A partire da queste necessarie cautele e consapevoli dei pericoli di cortocircuitare i piani del discorso, proviamo ad esprimere comunque una nostra valutazione, sollecitati dalla segnalazione a noi giunta.

Cominciamo col dire che le preoccupazioni del Papa circa la dissoluzione e precarietà delle strutture familiari è assolutamente confermata dagli andamenti statistici di separazioni e divorzi negli ultimi decenni. In particolare gli ultimi 30-40 anni vedono un costante incremento (dati Istat) di separazioni e divorzi (dati relativi solo al nostro paese). Prendiamo ad esempio i dati dell’ultimo decennio: dal 1997 al 2007 le separazioni sono passate dal 18,6% al 27,4%; nello stesso periodo i divorzi dal 10% al 16,5%

Questo andamento non appare come fluttuazione, ma ormai come tendenza stabile della società da più di 30 anni e, dalla prospettiva religiosa, con la quale il Papa pensa alla famiglia come una “culla naturale” della società, è assolutamente comprensibile il sentimento di assedio e dissoluzione.

Anche le nascite dalla metà degli anni ’70 in poi sono in caduta libera, salvo recenti parziali recuperi dovuti ai flussi migratori, ed il tasso di fecondità delle donne italiane s’è dimezzato (dal 2,4 al 1,2 figli per donna).

Anche la struttura della famiglia è, nello stesso periodo indicato, dagli anni ’70 in poi, profondamente mutata, tanto che oggi nessuno studioso pensa più alla famiglia al singolare, bensì al plurale (famiglie di fatto, unigenitoriali, ricostituite, allargate, etc.). Accanto all’emergere sulla scena sociale di queste nuove forme-famiglia, rimane naturalmente, sempre più erosa, ma ancora formalmente maggioritaria, quella che potremmo ancora definire come la “famiglia tradizionale” (quella costituita da due genitori stabili e figlio/i), che però di tradizionale conserva ben poco visti i cambiamenti degli ultimi decenni in ordine ad abitudini, stili di vita, ruoli, funzioni, rappresentazioni interne e sociali, inscrizione nelle culture economico-politiche di riferimento, numero di figli, interazione coi figli e loro educazione, etc.

Queste trasformazioni interrogano profondamente tutti noi sulla posizione dei figli all’interno di queste nuove forme-famiglia, della loro condizione psicologica, della loro educazione, della loro stabilità emotiva e affettiva, insomma del loro futuro e dunque del nostro.

La rapidità con la quale stanno avvenendo queste mutazioni sociali a carico della struttura familiare (parliamo di quelle più visibili degli ultimi decenni, un tempo cioè brevissimo in termini storico-antropologici), getta nello scompiglio un po’ tutti gli osservatori (religiosi e non) in quanto si assiste a fenomeni del tutto inediti di cui non si riescono ad intercettare senso, direzione e mete, con l’angoscia di fondo del progressivo tramonto della famiglia e del rapido spopolamento della nostra civiltà.

A questo scenario va aggiunta anche una notazione psico-sociale che riguarda le imponenti criticità che coinvolgono, più in generale, lo stare in coppia (tutte le coppie, anche quelle non propriamente coniugali), il suo statuto, le sue nuove regole d’ingaggio, i fattori coagulanti che consentono o più spesso non consentono la formazione, la stabilità, la continuità, la progettualità delle coppie contemporanee che vedono una labilità e frammentarietà anch’esse inedite e nuove faticosità legate a cambiamenti sociali e culturali. Anche qui assistiamo a mutamenti non ancora compiutamente individuati che interrogano gli studiosi sociali.

Di fronte a tutto ciò le posizioni e le valutazioni sono articolate, a partire dal vertice osservativo, dalla cultura di riferimento, dagli obiettivi che ciascuno si propone.

L’articolazione degli sguardi è una ricchezza, una volta poste però le doverose premesse “epistemologiche”, una volta cioè chiarite le coordinate, i punti di partenza ed i limiti del nostro discorso.

A noi sembra che il Papa, partendo da una prospettiva di un’antropologia trascendente (la famiglia come culla naturale della società), non possa che osservare questi cambiamenti non solo come conflittuali e confusivi, ma anche come innaturali, contrari cioè alla natura umana. In questa prospettiva il divorzio diventa perciò intrinsecamente minaccioso rispetto ad un ordine naturale nel quale il matrimonio religioso si colloca come compendio.

Questa prospettiva è però fatalmente lontana da quella appartenente alle scienze sociali, non certo perché in tale ambito non vi siano le medesime preoccupazioni indicate dal Pontefice inerenti l’instabilità delle famiglie e le sofferenze ad esse attinenti, ma perché in questo caso la prospettiva di partenza non presuppone la trascendenza delle strutture sociali (indimostrabile), ma il loro dispiegarsi nella storia secondo le traiettorie della cultura umana e dei suoi, talora convulsi, movimenti. Le scienze sociali inoltre non sono in grado di definire con incrollabile certezza le invarianti della “natura umana”.

Inoltre, dal punto di vista dello studioso sociale si deve necessariamente sospendere ogni giudizio morale non perché erroneo in sé (ogni studioso conserva proprie coordinate morali, implicite o esplicite), ma in quanto esso diventa facilmente ostacolo alla ricerca, dal momento che presuppone sia le cause che le conseguenze. Atteggiamento questo contrario all’andamento della conoscenza.

Inoltre, sempre dal punto di vista dello studioso sociale, è inconcepibile giungere a conclusioni o a valutazioni o a proposte correttive laddove la complessità dei fenomeni sia tale da impedire una loro compiuta leggibilità.

Ciò che ha portato alle trasformazioni sociali sottese all’aumento dei divorzi, l’instabilità delle coppie, la diminuzione delle nascite, la nascita di nuove forme-famiglia e a nuove regole nei legami familiari e sociali, le nuove relazioni intergenerazionali, è impresa tale da scoraggiare ogni tentativo velleitariamente onnicomprensivo.

La riflessione religiosa, dal canto suo, ha forse il vantaggio di essere consolatoria e stabilizzante per chi vi si riconosce, ma ha lo svantaggio di apparire giudicante e forse colpevolizzante laddove definisce “alterate” le nuove tipologie di famiglia, nelle quali, tra l’altro, si ritrovano molte famiglie cristiane e sicuramente tra le coppie separate la maggioranza sono proporzionalmente quelle unite in matrimonio con rito religioso (i dati dimostrano infatti che: “Il rito di celebrazione del matrimonio non sembra influire sulla modalità di esaurimento del procedimento di separazione” in Evoluzione e nuove tendenze dell’instabilità coniugale, Istat, 2005 p.50).

La sensazione è che di fronte ai cambiamenti socio-culturali il discorso religioso si difenda attraverso prescrizioni e non provando a comprenderli (che non significa necessariamente giustificarli).

A tal Proposito occorre aggiungere altri dati sui quali sviluppare riflessioni. Ad esempio il rito civile, fino a poche decine di anni fa, assolutamente minoritario (1,4% nel 1968), nel 2007 è al 34,6% ed in tendenza sempre ascendente, contro il 65,4% dei matrimoni religiosi in tendenza sempre discendente. Il numero degli sposi già divorziato ed al secondo matrimonio è anch’esso in aumento, 7,5% (7,8 uomini, 7,2 donne)  contro il 6,1% di soli cinque anni fa.

Anche il numero assoluto di matrimoni è in continua discesa attestandosi a circa 250.000 matrimoni nel 2007 contro i 264.000 del 2004, i 284.400 del 2000. Tendenza ancor più evidente se si considera che nel 1974 i matrimoni erano ben 418.000.

Anche le nascite, vedono un drammatica discesa: 869.000 nel 1974 contro le 526.000 del 1995 e le 564.000 del 2007 (incremento, quest’ultimo, dovuto al maggiore tasso di fecondità delle famiglie immigrate, doppio rispetto alle donne italiane).

Ecco, ci sembra riduttivo immaginare questi “cataclismi” statistici dovuti solo alla scristianizzazione delle società occidentali. Casomai, v’è da domandarsi come mai, nonostante i precetti cristiani ben radicati nelle nostre culture e baluardo dei nostri stili di vita, la struttura familiare tradizionale sia saltata in aria producendo un tale disorientamento.

Forse, intanto, occorre brevemente ricordare che tale radicamento probabilmente non era poi così profondo visto che l’indissolubilità del matrimonio in area cattolica è storicamente formalizzata solo dal XVI secolo in poi dal Concilio di Trento (seppure dopo un tragitto di procedure nuziali che parte dal XII secolo), ed è stata valida essenzialmente in aree d’influenza della Chiesa e non in tutto il resto del mondo cristiano e ovviamente non cristiano (in Evoluzione e nuove tendenze dell’instabilità coniugale, Istat, 2005 pag. 29-30).

Evidentemente allora qualcosa sfugge. Evidentemente non è solo un problema spirituale, e non ci pare un grosso contributo alla causa delle famiglie e dei figli ed alla difficile comprensione dei fenomeni in corso colpevolizzare le coppie divorziate o ricostituite, le famiglie allargate, definendole come alterate e, implicitamente, innaturali. La mancanza di coordinate è dunque di vario ordine: spirituale – secondo la prospettiva religiosa – ma forse anche storica, sociale, psicologica, culturale…

Alla beffa di vivere in una fase storica senza coordinate si aggiunge così anche il danno del senso di colpa di un anatema religioso e il senso di inadeguatezza verso i propri figli.

Dal punto di vista degli psicologi, di fronte ad una qualunque crisi – e questi dati ci confermano che la crisi è profonda e pervasiva – non serve puntare il dito o fornire ricette (uno psicologo che così facesse sarebbe davvero inutile e dannoso), ma occorre accompagnare con amore (cristiano o non) i nostri simili che si trovano in mezzo al guado, sostenendo la  comprensione di sé, dell’altro e di ciò che ci circonda, cercando itinerari alternativi, attingendo alle risorse disponibili, eventualmente riducendo i danni o garantendo una presenza nel dolore ineludibile.

Ma veniamo al tema della rovina dei figli che vivono nelle famiglie allargate e di genitori separati.

I dati Istat del 2007 ci dicono che in Italia figli coinvolti sono 100.252 nelle separazioni e 49.087 nei divorzi. Circa 150.000 in tutto contro i 68.000 totali del 2000. Anche qui un dato in netta ascesa, dato che, ancora una volta, come proviamo a testimoniare dalle statistiche contenute in questo contributo, dimostra non già una tendenza temporanea, contingente e fluttuante della società, ma una tendenza inarrestabile, certamente non invertibile.

Non c’è dubbio che la separazione dei genitori rappresenta nella maggior parte dei casi un elemento di grande criticità per i figli, un’esperienza traumatica che non va sottovalutata. Nessun figlio, tranne casi estremi di violenza, negazione o assenza, vorrebbe che i suoi genitori si separassero. Va però detto che tale criticità è accentuata da una serie di circostanze concorrenti alla separazione in sé e che in definitiva rappresentano in veri fattori di rischio: la continuità nel tempo della relazione genitore-figlio e il conflitto familiare nelle sue diverse sfaccettature (entità, durata e tipologia), sembrano rappresentare le variabili più importanti nel determinare il tipo di adattamento psicologico dei figli (Hetherington).

Laddove nelle famiglie separate si mantiene una forte conflittualità tra gli ex coniugi e/o coi figli, oppure non viene garantita la continuità genitore-figlio, oppure i figli vengono sballottati o (per usare una vecchia ma efficace terminologia) triangolati tra i genitori, cioè coinvolti nel conflitto di coppia, oppure avvengono crisi familiari a seguito della separazione, i figli naturalmente ne risentono, aumentando il rischio di malessere psicologico (ansia, depressione, comportamenti a rischio, etc.). http://www.mentalhelp.net/poc/view_doc.php?type=doc&id=4393&cn=42 ; http://italiasalute.leonardo.it/News.asp?ID=5909

Laddove invece la separazione non implica tutti questi rischi collaterali appena elencati, grazie al sostegno sociale o familiare, o con l’aiuto di un sostegno psicologico, o semplicemente grazie al grado di civiltà delle persone coinvolte, i figli, pur soffrendone indubbiamente, sembrano decisamente più in grado di uscirne fuori e non subire soverchi danni.

Anzi, secondo alcuni studi, ne uscirebbero addirittura rafforzati e capaci di concepire e tollerare il dolore della separazione. E secondo altri studi (Oestberg) vengono smentite molte delle certezze circa l’instabilità psicologica dei figli dei divorziati.

Nelle dichiarazioni del Pontefice il riferimento “forte” era però alla molteplicità dei riferimenti genitoriali ed il relativo abbandono di fatto degli stessi che avverrebbe nelle nuove famiglie allargate.

Questo però non risulta a noi operatori come dato assoluto e costante. Viceversa, i stepfather e stepmother (come vengono indicati in inglese gli “affiancatori” dei genitori naturali e nuovi partners dei separati) spesso rappresentano delle risorse fondamentali nell’economia psicologica dei figli ristabilendo quel senso di stabilità messo in crisi dalla separazione, diventando talora punti di riferimento importantissimi, specie laddove uno dei genitori naturali (più spesso il padre) diventa, per svariate ragioni, figura evanescente e lontana; oppure, meglio ancora, laddove sia avvenuto un reciproco riconoscimento ed integrazione dei differenti ruoli da parte di tutti gli attori della scena (genitori naturali separati e nuovi partners, tutti presenti) tale da consentire ai figli di avere punti di riferimento certi e differenziati.

Altre volte invece, e qui l’appello del Papa trova una sua giustificazione, i nuovi partners o coniugi trovano difficoltà ad elaborare il loro nuovo e complesso ruolo vicario fino al punto di negare ogni responsabilità verso i figli “acquisiti” nella nuova famiglia allargata o ricostituita. Ed in questo caso è possibile assistere ad un processo di deresponsabilizzazione genitoriale diffuso che risulta difficile (non impossibile) da elaborare da parte dei figli.

Non siamo in grado di produrre dati differenziali certi circa tale assunzione di ruolo e responsabilità, ma ci sembra di poter affermare, dalle esperienze sul campo, che si tratti di un fenomeno non così pervasivo e “rovinoso” come le parole del Pontefice farebbero pensare.

Per concludere, per tutto il presente contributo abbiamo cercato di dimostrare che le tendenze storico-sociali nella direzione di una frammentazione e instabilità delle famiglie appaiono stabilizzate, cioè non sottoposte a troppe variazioni (abbiamo preso in considerazione la realtà italiana, ma si tratta di linee tendenziali di tutto il mondo occidentale, con differenti sfumature cronologiche e/o demografiche).

Fatto questo che fa pensare ad un mutamento generale del tessuto sociale, non “redimibile”, purtroppo, attraverso semplici richiami religiosi.

Tali mutamenti e tutte le conseguenze che portano, ci lasciano spesso attoniti, disorientati, talora angosciati, in quanto sembrano portare con sé solo elementi di disordine e di malessere, ma soprattutto non si riesce ad intravedere all’orizzonte alcun nuovo ordine o altre forme sociali che ci permettano di prospettare un futuro migliore.

La nostra missione scientifica e professionale rimane quella di attrezzarsi per affrontare la crisi in corso.

La fede religiosa consente in genere, per chi la possiede, di guardare al futuro con maggiore ottimismo a partire da alcune certezze che per loro natura non richiedono né dimostrazione, né confutazione; l’approccio scientifico rimane invece più silenzioso di fronte all’impossibilità di risposte adamantine e definitive (specie nell’ambito delle scienze storico-sociali), si astiene per questo da valutazioni affrettate o generalizzazioni che tendono a saturare il processo conoscitivo.

Fabio Fareri

Author: Fabio Fareri

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3 Comments

  1. Ti ringrazio per la risposta , ma soprattutto per il continuo sforzo che hai fatto per tenere una visione complessiva del fenomeno.
    Hai pienamente dimostrato il valore dell’osservatorio come agente culturale e il contributo che essa offre alla societa civile e alla comunita’ professionale.
    DAVVERO GRAZIE

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  2. Davvero fantastico l’articolo !

    Ricchissimo e circostanziato, equilibrato e ben scritto.

    Grazie

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  3. Ti siamo grati di tanta chiarezza e fede sia nella religiosità come sentimento individuale e collettivo sia nella ricerca di verità falsificabili che dimostri essere opere da alimentare separatamente.

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