di Gianni Tadolini
Psicologo – Coordinatore del Gruppo P.A.C. – Psicologia Animale Comparata – IT
Non è possibile parlare di Psicologia Animale senza incorrere nel pericolo di un’eccessiva approssimazione. In questa breve riflessione vorrei fornire alcune coordinate per orientare il lettore in un territorio di fatto molto vasto. Ho voluto mettere in evidenza quattro indicatori, cioè punti di riferimento, angoli di visuale, che ci consentano di affrontare la materia: tuttavia raccomando di non assumerli come riferimento assoluto, ma solamente elementi “convenzionali” del linguaggio di una mappa.
“Fare” Psicologia Animale vuol dire occuparsi delle funzioni psichiche degli esseri viventi “intermedi”, quelli cioè che stanno tra l’uomo ed i vegetali: questo pone una prima macroscopica circoscrizione del contesto, dove la Psicologia Animale viene assimilata alla vergleichende Verhaltensforschung (Etologia Comparativa) di Konrad Lorenz, lo studio comparativo dei comportamenti dei viventi animati non-umani.
Un primo indicatore – su cui ruota la speculazione sullo psichismo animale, dall’antichità fino ai giorni nostri – si pone come linea di demarcazione tra coloro i quali considerano lo psichismo animale sorretto da un principium vitae simile a quello umano e coloro i quali, invece, ne sottolineano l’abissale diversità. Fra questi ultimi spicca, intorno al 1600, la figura del filosofo Cartesio, che arriva ad equiparare il movimento vitale degli animali a quello degli ingranaggi di un orologio. Cartesio, nella Parte V del suo Discorso sul Metodo, afferma che gli animali “non sono neppure in grado di soffrire”, dato che non possono esserne consapevoli. Tale affermazione lasciò terreno libero a quegli scienziati che non ebbero scrupolo ad inventare le pratiche più atroci di vivisezione, come raccontano alcuni contemporanei del filosofo francese.
Un secondo indicatore divise gli scienziati che optarono per lo studio dello psichismo animale in laboratorio e quelli che scelsero l’osservazione in natura. Fra i primi è consueto ricordare, all’inizio del XX secolo, il padre della cosiddetta Psicologia Riflessiologica, Ivan Petrovič Pavlov – che però mai volle definirsi psicologo, mantenendo verso questa categoria sempre un atteggiamento altezzoso – ed Edward Thorndike, che pose le basi di quelle ricerche sviluppate poi da Burrhus Skinner (Il comportamento degli organismi – 1938), il più illustre rappresentante del comportamentismo.
Ma è con i secondi, cioè coloro che scelsero di osservare gli animali in natura, che il metodo della Psicologia Animale raggiunse la sua più appropriata configurazione e divenne “Etologia”. Soprattutto Konrad Lorenz (1903 – 1989) segnò il passaggio dalla ricerca psicologica di laboratorio a quella di campagna, come egli stesso ebbe a dire. Per cogliere la mente animale nella sua complessità bisognava tener conto del contesto in cui tale mente si forma, si plasma e si esprime: l’ambiente. La territorialità, il corteggiamento, la capacità genitoriale, l’organizzazione sociale erano eventi totalmente condizionati dal contesto-natura e solo là aveva senso osservarli.
Un terzo indicatore è quello che si configura a partire dalla prospettiva inter-specista (fra le specie). Esso mette in guardia dal pericolo delle visioni antropomorfe: cercare di comprendere la psicologia degli animali a partire da quella umana. Questo terzo indicatore raggruppa tutti quegli scienziati che riconoscono una pari dignità ontologica alle varie specie animali, uomo compreso, ma ne sottolineano le diversità, soprattutto in riferimento ai differenti universi cognitivi. Non è possibile comprendere come pensa un cane se partiamo da come pensa un uomo, perché la loro storia evolutiva si snoda su necessità di adattamento all’ambiente ampiamente diverse, necessità che hanno plasmato menti diverse.
Tuttavia già Darwin, soprattutto negli scritti del 1872, aveva sottolineato che tra l’essere umano e gli animali fossero maggiori, in ragione della filogenesi, le continuità piuttosto che le interruzioni della scala evolutiva. In altri termini, tra l’evoluzione umana e quella delle altre specie esiste un continuum evolutivo che si intravede sia nella formazione di organi ed apparati, sia nella genesi delle emozioni. In tal senso gli animali, soprattutto se parliamo di mammiferi, sarebbero dotati di una vera e propria psiche che – anche se si organizza in maniera diversa da quella dell’uomo – mantiene le caratteristiche di una soggettività, nella quale si esprimono dolore, paura, gioia, desiderio di accudimento, aspettative.
La prospettiva di questo terzo indicatore consente di parlare di Psicologia Animale Comparata, perché il metodo comparativo “orizzontale” è quello che guida l’osservazione.
Il quarto indicatore è quello neurobiologico. La valutazione delle componenti psichiche nelle diverse specie, in questo contesto, muove dall’osservazione delle somiglianze e delle discrepanze delle basi organiche dello psichismo stesso e del comportamento, quindi del retroterra anatomo-neurofunzionale. In effetti, soprattutto per le specie vicino alla nostra (nei mammiferi), le somiglianze sono impressionanti, sia dal punto di vista anatomico, sia – ancor di più – a livello biochimico. Le molecole della vita psichica, i cosiddetti neurotrasmettitori, sono i medesimi sia negli animali che nell’uomo e svolgono più o meno le stesse funzioni.
Da questi angoli di visuale che abbiamo definito “indicatori” si snodano una miriade di discipline scientifiche e tutte convogliano dentro il grande alveo della PSICOLOGIA ANIMALE.
Ritratto, eseguito in foto pittura, dell’etologo Konrad Lorenz
Il panorama attuale
In Italia la normativa che regolamentò la professione di psicologo (Legge n. 56/1989) produsse di fatto un vuoto legislativo che tuttora non è stato colmato: le competenze dello psicologo vennero considerate unicamente in funzione della specie umana, mentre la Psicologia Animale, divenne terreno esclusivo del medico-veterinario o, in pochi casi, dello scienziato naturalista. La discrepanza fra il quadro legislativo e lo scenario reale risultò particolarmente evidente soprattutto in ragione del fatto che alcuni noti esperti italiani di Psicologia Animale, anche di fama internazionale, erano psicologi. Citiamo, ad esempio, il caso del Prof. Giorgio Vallortigara, laureato in psicologia all’Università di Padova, preside della Facoltà di Psicologia a Trieste fino al 2006 ed oggi cattedratico all’Università di Trento.
Tuttavia, nel corso degli anni, soprattutto la necessità di formalizzare la posizione degli psicologi – che lavoravano nei laboratori di ricerca biomedica (fu anche il caso di chi scrive) con i cosiddetti Modelli Animali Sperimentali per lo studio dei farmaci – dette origine ad alcune postille giurisprudenziali (Decr. Minist. 26/04/2000 Sanità – “Riconoscimento dei titoli idonei ai fini della sperimentazione animale” ai sensi dell’art. 4, D.L. n. 116, 27/1/1992), ma non risolse il problema generale dell’inquadramento di coloro che, chiaramente collocati all’interno dell’Ordine Nazionale degli Psicologi, si occupavano di comportamento animale al di fuori del contesto dei laboratori biomedici.
Anni fa si aprì addirittura un articolato contenzioso, tra psicologi della provincia di Firenze e l’Ordine dei Veterinari, relativamente all’intervento comportamentale sugli animali d’affezione, in questo caso i cani. La faccenda non ebbe esito negativo per i colleghi unicamente perché venne dichiarato che essi non agivano di fatto sull’animale, ma sul suo proprietario.
Alcuni psicologi hanno pensato di ovviare alla mancanza di confini legislativi sulle competenze acquisendo il titolo di Educatore Cinofilo (titolo peraltro solo parzialmente regolamentato dalla legislazione italiana attraverso un D.D.L. della X Commissione Attività Produttive della Camera del dicembre 2013, nel quale vengono classificate le professioni riconosciute, ma non soggette ad Albo Professionale), una scappatoia che, ancora una volta, non risolve la questione. Mas media e riviste divulgative non hanno inoltre contribuito a fare chiarezza attribuendo l’appellativo di “psicologo degli animali” ai più svariati personaggi ospiti dei talk show.
Esemplificativo è il caso del successo rappresentato dalla trasmissione Dog whisperer – uno psicologo da cani, il reality americano che segue il lavoro dell’ormai troppo noto educatore cinofilo Cesar Millan, giunto anche sui nostri teleschermi. Non si vuole mettere in discussione l’indubbia capacità di Millan di condizionare il comportamento canino, o la sua esperienza nella lettura dei meccanismi del branco, quanto piuttosto il messaggio che nell’azione di Millan viene continuamente trasmesso: l’importanza dei concetti di dominanza e gregarietà insiti nella mente del cane. Non è questa la sede opportuna per affrontare l’argomento, ci basta tuttavia ricordare quanto tale visione si risolva spesso nella proposta di una marcata supremazia dell’uomo sull’animale, dove “educazione” si avvicina molto a “coercizione”. La lezione di Millan rappresenta forse l’aspetto più deteriore del condizionamento skinneriano.
La Pet-Therapy – Un discorso a parte deve essere fatto per la discussa figura del Pet-Therapista, cioè di quell’operatore che utilizza l’animale d’affezione al fine di migliorare il benessere psicologico umano. La Pet-Therapy ha ormai una lunga storia che inizia con gli studi dello psichiatra statunitense Boris Levinson, negli anni ’60, prosegue con le attività del Delta Society, fondata nel 1981 e si articola poi in mille rivoli. Pur avendo avuto un formale, quanto generico, riconoscimento dall’Organizzazione Mondiale della Santità nel 1990, questo approccio terapeutico non è arrivato ad avere comunque un suo definitivo assetto normativo, almeno in Europa.
In Italia il 18/06/2009 è stato emesso un Decreto interministeriale (Lavoro, Salute, Politiche sociali) attraverso il quale si affidava all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie il compito di istituire il CRN – Centro di Referenza Nazionale per gli Interventi Assistiti dagli Animali (Pet-Therapy) – http://www.centroreferenzapet-therapy.it – sul modello dei programmi A.A.A. (Attività Assistita con Animali) messi in atto dalla Regione Veneto a partire dal 2005 (D.G.R.V. n. 4130 del 19/12/2006 e Legge Regionale del Veneto n. 3 del 3/01/2005).
Attualmente i percorsi didattici che il CRN articola in diverse realtà territoriali (Verona, Padova Roma, Foggia) non attribuiscono allo psicologo nessuna specificità, mentre è invece previsto un pacchetto formativo particolareggiato per i medici-veterinari (Medico-veterinario esperto in I.A.A. – Interventi Assistiti con Animali). Il diploma di scuola media superiore è comunque sufficiente per accedere alla maggior parte dei corsi del CRN.
Al momento, quindi, la Laura in Psicologia non è titolo in alcun modo preferenziale per l’accesso alla Pet-Therapy, ma – anche se non esiste di fatto ancora nessuna regolamentazione definita, a tal punto che chiunque potrebbe in teoria definirsi Pet-Therapista – sarebbe ragionevole che a livello normativo venissero prese in considerazione le competenze preliminari proprie della formazione dello psicologo, dato che la Pet-Therapy è, in ogni modo, un intervento psicologico sull’uomo.
20 luglio 2014
Personalmente credo alla validità / utilità di una prospettiva che scorge continuità tra l’evoluzione umana e quella delle altre specie. Mi piacerebbe leggere un articolo centrato sulla cosiddetta psiche animale, che – seppure organizzata in maniera diversa da quella umana – mantiene le caratteristiche di una soggettività, nella quale hanno luogo anche emozioni..