di Chiara Santi
Il coraggio di osare, di guardare oltre, di non fermarsi in facili e rigidi dogmatismi, ma di scrutare al di là, avendo come obiettivo finale sempre e solo la verità; i piccoli brandelli di essa, almeno, che riusciamo a cogliere. Questo è ciò che serve alla scienza – quindi anche alla psicologia – e a noi tutti.
Ed è ciò che ci sta portando, che va regalando a chi ha voglia di spingersi sempre più in là, un passo oltre a ciò che la mente razionale può, al momento, spiegare.
Spostare la barriera della conoscenza sempre più avanti può farci accedere a nuove interpretazioni, che introducono visioni altre della realtà, consapevolezze più profonde del nostro essere ed agire nel mondo.
Il 23 settembre di quest’anno, su tutti i giornali si è diffusa la notizia che il team di ricerca del Cern e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, capitanato dal nostro Antonio Ereditato, aveva fatto una scoperta che, se confermata, sarebbe stata la più importante di questo secolo (1).
In apparente contraddizione con la regola d’oro della teoria della relatività speciale di Einstein, secondo cui nulla può viaggiare più veloce della luce (circa 300.000 km al secondo), l’esperimento del gruppo ha dimostrato che i neutrini, particelle fondamentali elettricamente neutre dalla massa infinitamente piccola, possono essere più veloci dei fotoni, i quali, nel vuoto, raggiungono la velocità che si riteneva essere la massima consentita.
In estrema – e non tecnica – sintesi, un fascio di neutrini è stato “sparato” dal Cern attraverso la crosta terrestre fino ai Laboratori dell’Infn del Gran Sasso e si è misurato il tempo utilizzato per percorrere i 730 km di distanza (con una precisione di 20 centimetri). Fatti tutti i debiti calcoli e tenuto conto di un margine di errore che è stato quantificato in un massimo di 10 nanosecondi, la velocità dei neutrini è risultata comunque superiore a quella dei fotoni, giungendo a destinazione ben 60 nanosecondi prima di questi ultimi, quindi eccedendo di gran lunga il margine di errore.
Per quanto alle nostre menti profane questi valori appaiano talmente infimi da sembrare inconsistenti, piccoli dettagli utili ad alte disquisizioni fra scienziati, hanno in realtà la capacità di stravolgere il mondo per come lo conosciamo e di avere effetti inimmaginabili.
Se confermati i risultati, quei 60 nanosecondi potrebbero rappresentare, in linea assolutamente teorica, la linea di divisione fra un universo che ci pone notevoli barriere di tempo e spazio, e i viaggi nel tempo o le traversate interstellari.
“Dio non gioca a dadi con l’universo” è la famosa frase di Einstein (2) che esprimeva lo sconcerto del genio tedesco di fronte ai risultati della fisica e della meccanica quantistica (3) – al cui sviluppo lui stesso aveva dato un indiretto contributo – secondo i risultati e le interpretazioni portate avanti, più di tutti, dal gruppo di Copenaghen di Niels Bohr, alle cui scoperte ed interpretazioni diedero apporti fondamentali altre grandi menti come Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli.
Infatti, a differenza delle regole del mondo fisico, per come era stato conosciuto fino ad allora, dominato, prima di tutto, dalla legge di causa-effetto e da certezze quasi immutabili, l’universo quantistico sembrava mostrarsi refrattario ad ogni logica sino a quel momento normalmente accettata, mostrando un volto affascinante ed inquietante insieme, dove pareva quasi che tutto e il contrario di tutto potessero avere simultaneamente uno spazio in questo microcosmo: dagli elettroni che presentavano le caratteristiche sia di onde sia di particelle, agli eventi che accadevano non di per sé, ma in dipendenza dell’osservatore, fino all’impossibilità di calcolare con precisione, contemporaneamente, quantità di moto e posizione di una particella elementare, tutto sembrava contraddire la logica comune e scientifica. La più accreditata spiegazione di tali eventi divenne, nel tempo, proprio la famosa “interpretazione di Copenaghen” di Bohr e collaboratori, che riusciva a dare un senso a tutto ciò introducendo una visione probabilistica secondo cui di tutti i possibili stati di un evento, quello che si realizza dipende dell’osservatore e dallo strumento utilizzato e non è determinato a priori da leggi di causa-effetto. Un po’ come a dire che, se abbiamo un gatto in una scatola che ha le stesse probabilità di morire avvelenato in seguito al verificarsi o non verificarsi di un determinato evento, l’animale nella scatola è contemporaneamente vivo e morto, finché non si apre il contenitore e si effettua, quindi, l’osservazione (4).
Furono proprio paradossi come questi e le incredibili conseguenze che Bohr ricavò dagli studi quantistici, che portarono Einstein alla famosa frase che rappresentava il suo rifiuto di credere che, nel mondo subatomico, niente potesse essere deterministicamente definito e previsto, ma tutto fosse in balia delle probabilità e del metodo di misurazione.
Le grandi domande che la fisica quantistica ha portato con sé vanno a toccare il senso più profondo della nostra esistenza e del suo senso. Scienza e filosofia, la struttura delle particelle elementari e le grandi domande della vita sembrano andare a braccetto. Se è vero che meccanica e fisica quantistica, per arrivare a dare un senso ai risultati delle ricerche, facendo combaciare teorie e dati, arrivano ad ipotizzare – in alcuni casi – persino l’esistenza di universi paralleli e la realizzazione di un risultato o di un altro a seconda di come e quando lo sperimentatore osserva l’evento (da un’infinità di eventi possibili, quello che si realizza, in pratica, dipende da chi osserva. Il gatto non è vivo o morto, è tutte e due le cose contemporaneamente finché non lo si guarda) che potrebbe anche significare, estremizzando, che il collasso della funzione d’onda delle probabilità, ovvero la realizzazione di una situazione e quella soltanto, non dipende da leggi deterministiche, ma siamo noi, in pratica, a creare la realtà che viviamo.
Ma le rivoluzioni della scienza non si fermano qui ed altri settori ci stanno portando riflessioni e scoperte che sembrano sconvolgere tutte le norme finora accettate, che osano mettere in dubbio ogni logica dominante sino a questo momento.
L’attribuzione dei premi Nobel di quest’anno non sono, in gran parte, approfondimenti e scoperte nella direzione di un solco già tracciato, ma una specie di inno all’audacia di sfidare le convenzioni e le certezze dominanti.
Il Nobel alla chimica è stato conferito a Daniel Shechtman che, con la scoperta dei quasi-cristalli (forme strutturali ordinate ma non periodiche), ha “modificato dalla base la concezione di un solido», tanto che «la sua battaglia a difesa delle sue idee ha costretto gli scienziati a riconsiderare le loro concezioni sulla natura stessa della materia», come si legge fra le motivazioni al premio. Questo non prima di essere passato, purtroppo, attraverso aspre critiche e ostilità di colleghi, che lo costrinsero a trasferirsi presso una differente Università per proseguire i suoi studi, i quali potrebbero ora portare a diverse innovazioni nel campo dei materiali (5).
Il Nobel alla fisica, invece, è stato assegnato ex aequo agli statunitensi Saul Perlmutter e Adam Riess e all’americano-australiano Brian Schmidt per la scoperta dell’espansione accelerata dell’universo attraverso l’osservazione dell’esplosione di un particolare tipo di stella, la supernova. In pratica, anche in questo caso contro a quanto finora comunemente accettato, si è scoperto che l’espansione dell’universo non avviene né a un ritmo costante né rallentando nel tempo ma, al contrario, accelerando. Tale scoperta ribalta i concetti fondamentali della cosmologia, secondo cui la spinta propulsiva dell’espansione dell’universo era destinata ad esaurirsi (6).
E’ questo il più grande contributo che la scienza può darci, non solo in senso tecnico, ma anche e soprattutto umano. Spingerci ad osare, a non fermarci, a credere anche nell’impossibile, se abbiamo seri e fondati motivi per farlo. Ad indagare, andare sempre un po’ più in là, che a volte significa anche andare “contro”. Contro dogmi, “fedi” acquisite, “verità” intoccabili, facendosi guidare solo dall’amore per la conoscenza, in qualunque direzione essa ci porti.
Questo coraggio, nella nostra psicologia, talvolta significa anche aprire i confini che mettiamo fra i vari settori di applicazione o, addirittura, fra i differenti orientamenti dello stesso settore, come in psicoterapia. Lo stesso spirito che ha permesso ad uno psicologo, Daniel Kahneman, di vincere il premio Nobel per l’economia, spingendo i suoi studi in un campo a cui la nostra disciplina era stata, fino ad allora, estranea.
E, un po’, piace pensare che sia stato anche il suo lavoro di psicologo ad aver fatto vincere l’ambito premio per la letteratura, quest’anno, a Tomas Tranströmer, collega e poeta.
Ci vuole coraggio per continuare a cercare e per tenere la mente aperta all’ignoto. Ma se lo si ha, allora si scopre, citando Kafka, che “da un certo punto in avanti non c’è più modo di tornare indietro. E’ quello il punto al quale si deve arrivare”.
E’ il miglior augurio che si possa fare alla scienza e agli uomini.
(1) Cfr, fra gli altri: http://daily.wired.it/news/scienza/2011/09/23/einstein-neutrini-velocita-luce-13427.html#content
(2) http://it.wikiquote.org/wiki/Albert_Einstein. Pare, in realtà, che Einstein non abbia mai detto o scritto esattamente così, ma di certo ripeté in diverse occasioni la sostanza di questa affermazione, in forme più o meno simili.
(3) Per un approfondimento della storia della fisica e meccanica quantistica, comprensibile anche ai profani della materia, si consiglia l’avvincente libro di Manjit Kumar, Quantum, Mondadori, Milano, 2010.
(4) Per una spiegazione completa del famoso “paradosso del gatto di Schrödinger”: http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_del_gatto_di_Schrödinger
(5) http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/11_ottobre_05/nobel-chimica_b2effa54-ef37-11e0-a7cb-38398ded3a54.shtml
(6) http://www.asi.it/it/news/il_nobel_per_la_fisica_2011_torna_alla_cosmologia