di Chiara Santi
Anche quest’anno siamo arrivati all’ultima uscita prima della pausa estiva. C’è una tendenza diffusa a pensare che col caldo debba andare in vacanza non solo il corpo, ma anche il cervello. A cui noi di OPM, certo, non vogliamo dare credito, continuando a mantenere alto il livello dell’informazione. Purtroppo non possiamo dire altrettanto dell’utilizzo generale della Psicologia che, già spesso fraintesa, banalizzata e male utilizzata nei media, d’estate sembra venire sfruttata ai più bassi livelli quando veniamo bombardati di favolosi test da autosomministrarci; al mare come in montagna, al nord come al sud, nella vita reale come, ormai, in quella virtuale, dai media scopriamo che non c’è segreto della vita psichica che tenga.
In giro, infatti, c’è veramente di tutto. Eravate rimasti agli obsoleti test di affinità di coppia? O al vetusto quiz che ti svela la tua sessualità? Ma no, il mondo gira in fretta e i gusti cambiano, perciò chiunque può trovare una risposta a qualsiasi domanda gli passi per la testa. Provate a porvi dei quesiti assurdi, iniziate a cercare una curiosità che, in realtà, non vi incuriosisce per niente, e vi sarete leggermente avvicinati al magico mondo dei test del solleone. Ad esempio, non ditemi che non morite dalla voglia di sapere a quale personaggio de “Il Mondo di Patty” assomigliate? O a quale dei Cesaroni (per i più caserecci)? E che non perdete le nottate chiedendovi se foste un cane, che razza sareste? O quanto il make up rispecchi la vostra personalità? Tutti test realmente disponibili in giro, niente di inventato!
Insomma, sono domande esistenziali, le cui risposte ci possono decisamente dare un’indicazione sulle direttrici da prendere nella vita.
Abbiamo voglia di scherzare, certo, ma neanche troppo. Diciamo che partiamo dai test estivi per affrontare, una volta di più, un argomento che ci è caro, cioè la serietà professionale da cui dipende l’immagine che diamo al mondo di noi.
È ovvio che nessuno si augurerebbe di trovare un Rorschach, un Big Five o un MMPI, magari con relativa spiegazione, in un giornaletto da spiaggia o sulle pagine di un quotidiano a tiratura nazionale. Né, ovviamente, si può chiedere che la Psicologia seria abbia l’ultima parola su qualsiasi prodotto che vagamente abbia a che fare con i sondaggi sul nostro mondo interno, anche quando questi sono fatti in modo palesemente e volutamente scherzoso.
Il problema, però, sta proprio nella fragile linea di confine fra il gioco e il facile fraintendimento. Perché nel mezzo, fra il quiz chiaramente ironico e il reattivo mentale scientifico, si situano infinite sfumature non sempre così evidenti, ai non addetti, nella loro distanza fra l’uno e l’altro estremo. In questi casi ci si potrebbe chiedere, infatti: quanti si rendono conto che molti test non hanno nulla di scientifico? Nulla che abbia a che vedere con un lungo e rigoroso lavoro che si preoccupi di validità, attendibilità, analisi degli items, ecc.? Quanti comprendono che non sono stati elaborati da uno psicologo? E che gli psicologi utilizzano il loro tempo in impegni più seri? E, ancora peggio: quanti sono, invece, i colleghi che si prestano a diffondere test non scientifici, dando attraverso il loro nome e il loro titolo professionale una parvenza di autorevolezza agli stessi? Purtroppo non si tratta di processo alle intenzioni, ma di semplice constatazione della realtà; basta farsi un giro veloce su internet per scoprire un mondo di questionari “fatti in casa” che vengono definiti psicologici e che, non troppo raramente, compaiono sulle pagine web degli stessi colleghi.
Perché il problema è sempre quello; la serietà della nostra disciplina deve passare, innanzi tutto, dalla serietà dei colleghi che la diffondono, oltre che dei media che ne parlano.
Prima di puntare il dito contro i giornali e i siti di informazione, insomma, iniziamo a guardare noi stessi.
La promozione della professione non può che arrivare, in primis, dalla correttezza con cui noi psicologi la trattiamo e ne parliamo; se siamo noi a farne cattivo uso, difficilmente possiamo sperare che all’esterno si comprenda il senso e l’utilità del nostro lavoro.
Il compito dell’Osservatorio è proprio quello di supervisionare l’informazione psicologica nei mezzi di informazione per “correggere il tiro” laddove essa viene distorta o mostrata in modo eccessivamente banale e semplificato (e, nondimeno, anche di divulgare quei lavori che fanno un buon servizio alla nostra scienza, così come alla comunità). Questo non tanto per il piacere fine a se stesso di scovare errori e imperfezioni, quanto perché crediamo realmente nell’utilità della psicologia in ogni suo campo di applicazione, valore che può essere tutelato solo da una diffusione corretta dei suoi principi e delle sue scoperte. Confondere il lettore, divulgare un’immagine semplificata di ricerche e applicazioni non è solo un torto fatto a questa meravigliosa disciplina, ma anche una riduzione della possibilità di avvantaggiarsene da parte dell’utente finale, così come un vulnus all’immagine della categoria (e gli ultimi due aspetti non sono certo indipendenti fra loro).
È chiaro che è un discorso scomodo; nella nostra epoca non va di moda guardare “al di là del proprio naso” e ciascuno cerca di attrarre clienti e pazienti come può. Insomma, la pubblicità è l’anima del commercio. Se fatta male, però, può diventare la tomba della professione. Divulgazione corretta, attraverso un linguaggio diretto e semplice, che non snaturi l’oggetto del nostro lavoro, si può fare. È quello che realizziamo, articolo dopo articolo, qui all’Osservatorio. Con il contributo di tanti colleghi che hanno la nostra stessa immagine della professione. E con quello dei lettori che, uscita dopo uscita, continuano a rinnovarci la loro fiducia.
Grazie e…Buone Vacanze!