Chi ha paura di Roberta Bruzzone?

SEGNALAZIONE

A questo indirizzo http://tg7.la7.it/Cronaca/video-345733 è in rete un’intervista fatta dal TGLa7 alla psicologa Bruzzone definita però criminologa. Considerando ciò che dice in questa intervista è possibile chiarire quali sono le competenze e soprattutto i limiti di uno psicologo che si esprime sui media su casi che non conosce direttamente (oggi la dottoressa è consulente di parte ma al tempo dell’intervista non lo era) arrivando anche a parlare di concetti quali l’infermità mentale? Richiamandosi alla carta dei doveri del giornalista che è tenuto a non generare nello spettatore errate percezioni è possibile ravvisare in questa intervista (e se ne parla in termini generali e non diretti alla collega) delle “violazioni” lesive dell’immagine dello psicologo oramai visto come un veggente del crimine, e soprattutto è deontologicamente corretto assumere la consulenza della difesa di una persona che pochi giorni prima si era definito pedofilo assassino?
Grazie della vostra risposta che potrebbe chiarire molti dubbi, prima di tutto alla sottoscritta.

Lettera Firmata

PARERE DI VALERIA LA VIA

Ce lo siamo chiesto tutti: è davvero indispensabile (o così facile), in un contesto mediatico, spogliarsi di quell’ habitus scientifico che consiste nel  basare le proprie valutazioni su dati attendibili e completi e sulla conoscenza diretta? È una colpa tanto grave eludere  una domanda quando non abbiamo niente di speciale da dire? Che ci vuole, quando la parrucchiera o un giornalista ci chiedono un parere esperto sui delitti di grande risonanza mediatica, a rispondere: “Guardi, ne so quanto lei: conosco il caso solo dai giornali”? E’ vietato porre dubbi, usare i condizionali, prospettare scenari alternativi? A giudicare dai successivi sviluppi delle indagini, la dott. Bruzzone sembrerebbe la prima vittima della sua stessa imprudenza.

E invece no.  Ella è oggi consulente della difesa dell’uomo che solo poco tempo prima, nel video segnalato,  aveva inquadrato come un  pedofilo omicida.  Lungi dal non riuscire a prendere sonno per la vergogna,  Bruzzone rilascia un’intervista al “Corriere della Sera” del 14 novembre  in cui, per controbattere alle critiche per le sue incaute valutazioni,  afferma:  “Sono tutti esperti col senno del poi…soltanto gli stupidi non cambiano mai idea e poi in questa storia tutti quanti abbiamo detto qualche cazzata [sic]. La differenza è che io lo riconosco”.

Ma come, “tutti quanti”? Chi sarebbero costoro?  Non certo le  persone di buon senso (non occorre scomodare i codici deontologici per capire quanto valga un giudizio espresso in quella fase dell’indagine e da quella posizione), tra le quali si annovera un grande numero di psicologi e  criminologi, che non hanno affatto cambiato idea per il semplice motivo che non avevano avuto modo di formarsela.

Vero è che la qualifica di “criminologo” di  cui preferenzialmente si fregia la dott. Bruzzone ha assunto nei media un’accezione vasta e imprecisa,  fino ad abbracciare discipline che la criminologia vera e propria distingue dal proprio ambito di ricerca.  Sta di fatto che, a esaminarne il curriculum, la dott. Bruzzone  sembra semmai esperta di criminalistica, di  tecniche di investigazione, che sono altra cosa dalla criminologia in senso stretto.  D’altro canto, è ovvio che in sette anni di iscrizione all’Albo questa collega non potrà certo avere acquisito  competenze di ogni tipo: ha  giusto  frequentato un paio di corsi di perfezionamento (da cui  trae la gustosa quanto inesistente qualifica di “perfezionata”: chissà se, qualora facesse qualche più impegnativo Master conseguendo il diploma, si definirebbe masterizzata!), che non sono certamente sufficienti a erogare una formazione equiparabile a quella delle vecchie e purtroppo soppresse scuole di specializzazione in criminologia.

A onor del vero, va chiarito che la dott. Bruzzone non esprime concetti che richiedano speciale competenza.  Per prevedere che la difesa di un imputato invochi l’infermità mentale  basta aver sentito parlare degli artt.  88 e 89  del Codice Penale  che trattano dell’imputabilità di chi “per infermità” (è questa l’espressione letterale) si trovi, al momento della commissione del  fatto,  “in tale stato di mente”  da escludere o limitare in modo importante la capacità di intendere e di volere.  Così pure, a dire “pedofilo” son buoni tutti, anche se, a voler sottilizzare, il pedofilo psicopatico di cui parla Bruzzone è profilo su cui la casistica non è poi così abbondante; non vi è nemmeno consenso degli esperti  sui pochi casi che sono stati esaminati direttamente (basti pensare al caso Chiatti), ma chissà,  magari nel data base dell’FBI  ce ne sono a bizzeffe.

Inoltre, non è poi così evidente  che chi sta parlando nel video in oggetto sia  proprio una psicologa.   Il tono di voce poco modulato e autoritario, la parlata frettolosa e senza pause, la mimica della parte finale sembrano più tipici del  codice comunicativo di  altre figure sociali,  più interessate all’azione e alla persuasione che all’ascolto e alla comprensione.  Quanto ai contenuti, che cosa c’è di psicologico?  Essi sono palesemente strumentali alla pubblicizzazione di Telefono Rosa, di cui Bruzzone è consulente, e questo intento viene perseguito mediante un’adesione collusiva alla reazione sociale al crimine. Bruzzone si immedesima nel sentire della folla impaziente di linciare il mostro, apparentemente senza nulla chiedersi sulle conseguenze drammatiche che, sull’onda  della suggestione emotiva di un delitto di forte risonanza mediatica, possono derivare  dalla sua sollecitazione a denunciare parenti e conoscenti “sospetti” di pedofilia.

Non è  certo un approccio da psicologo, che semmai si sforzerebbe di fare da “filtro”  e da ragionevole sedativo rispetto agli umori della folla, favorendo il pensiero come sostituto dell’azione violenta e come risorsa per elaborare la ferita che ogni crimine infligge alla società.  Forse il nostro  disagio deriva  da quel  senso di responsabilità sociale che è  nella cultura e nell’etica dello psicologo e che questo stile di comunicazione ci sembra disattendere, non sappiamo se a causa del set televisivo o del  setting interno del giornalista o dell’esperto.  Sta di fatto che il mondo dello psicologo sembrerebbe profondamente diverso da quello di questa figura di criminologa all’americana che Bruzzone ha avuto l’iniziativa di sdoganare sui media, dopo i Picozzi e tutti gli altri (dei quali bisogna dire che sono altrettanto poco identificati nella comunità dei medici con cui condividono l’iscrizione ad albo professionale).

Certamente chi fa la segnalazione coglie una distanza abissale tra questo stile comunicativo e la cultura condensata nell’art. 39 del nostro Codice Deontologico:  “Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte”.  Oltre alla difficoltà di comprendere quali siano le effettive competenze professionali di questa esperta,  il suo  codice comunicativo non è certo  quello dell’informazione che consente all’altro di formarsi idee personali, ma è più vicino a quello persuasivo che conosciamo dalla pubblicità o, negli ultimi anni, dalla politica.

D’altra parte, la dott. Bruzzone non sembra affatto interessata, nella sua veste di commentatrice di fatti di cronaca nera, a riconoscersi nella cultura, e quindi nella deontologia, degli psicologi.  Quando dice “tutti quanti abbiamo detto qualche cazzata”, è evidente che questi “tutti quanti”, l’insieme in cui si identifica, sono solo  gli altri “esperti” televisivi (che peraltro non coincidono con  quelli che, invece, vengono prescelti dalla stampa più autorevole e attenta), per i quali, proprio come per i politici, il fatto di parlare dietro una telecamera conta di più di quello che viene detto, e l’appartenenza a una professione funziona solo come un credito di accesso meramente formale. Né ella sembra sospettare l’esistenza di un mondo retto da diversi valori e ambizioni. A proposito delle critiche sulle affermazioni in cui si era prematuramente lanciata si esprime come un’attrice: “è tutta invidia”,  dice  nella citata intervista al “Corriere”, presumendo che chiunque altro debba  per forza desiderare di essere al suo posto.  In questa visione, conta solo essere dalla parte emittente della TV; chi sta dall’altra parte è un fesso, un frustrato, un cretino.

Segue la logica della rappresentazione mediatica anche il suo nuovo ruolo di consulente della difesa, e da questa parte del teleschermo non è dato capire se sia stato richiesto perché il consulente che cambia idea risulta più credibile o se  l’idea della consulente sia cambiata a seguito dell’assunzione dell’incarico.  Se però la dottoressa è in grado di svolgerlo nell’interesse del suo cliente, in base a quel che sappiamo non abbiamo motivo di sospettare alcuna incompatibilità.  Diverso sarebbe se l’incarico venisse conferito da un giudice, ma si tratta di una prospettiva decisamente fantascientifica.

In definitiva, a me sembra che vi sia un divario incolmabile tra Bruzzone iscritta ad albo, che, forse, altrove lavora come psicologa, e quest’altra Bruzzone che fa tutt’altro lavoro, ospite di set televisivi in cui va in onda continuamente  uno spettacolo osceno e  privo di alcun interesse, dove per ore e ore alla miseria psichica dei protagonisti fanno eco le  banalità di  esperti che non rappresentano altri che se stessi. Esperti che iterano la loro presenza fino a saturazione per poi venirne espulsi  per lo stesso motivo per cui vengono a noia le pubblicità.  Toccherà anche a Bruzzone e a chi prenderà il suo posto.

Non vedo dunque il rischio di lesione dell’immagine dello psicologo, che ben si rappresenta su altre scene assai più popolate, e che con questi opinionisti  ha lo stesso rapporto che il medico di base ha con i Picozzi e i Mastronardi, ossia poco a che vedere. Rischio vi sarebbe, semmai, se colludendo con questi fenomeni mediatici attribuissimo loro un peso maggiore di quello che hanno effettivamente e che si misura dalla scarsissima consistenza delle opinioni degli esperti.

Salvo interrogarci tutti i giorni su quel pezzettino di Bruzzone che certamente è in ognuno di noi anche se  forse, davanti a una telecamera e a un giornalista che incalza, non sapremmo proprio far meglio di lei.

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22 Comments

  1. Sottoscrivo pienamente il commento della collega La Via, di cui ho apprezzato la chiarezza.
    Mi chiedo se in casi come questi non sia opportuno, per non dire doveroso, un intervento dell’Ordine per un richiamo o con ulteriori severi proveddimenti in base ai suddetti articoli del codice deontologico.
    Cordiali saluti.

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  2. Confermo l’opinione della collega La Via e non riesco a capire come possa ancora avere una credenza sociale una persona come la Dott.Bruzzone. L’Ordine dovrebbe fare qualcosa..

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  3. L’analisi della Dott.ssa La Via è seria e puntuale. Mi chiedo come siano ammesse certe cose da parte di emittenti televisive che propinano al pubblico “esperti” o “pseudo esperti” (meno male che Internet è propensa ad una informazione più aperta e critica). Speriamo vivamente che l’Ordine prenda posizione, anche perchè dopo tutti i commenti letti sugli psicologi da parte di molti utenti (ed è questo che dovrebbe far pensare!) c’è da preoccuparsene seriamente.
    Continuate con queste iniziative!

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  4. Cara Valeria La Via: BRAVA. Ben esposto e argomentato il tuo parere, che condivido in toto; aggiungo a quanto hai scritto, che anche la signora presentatrice, attrice e “giornalista” Barbara Durso sta abusando dei programmi che conduce per “sentenziare” continuamente senza oggettività e propinare ore e ore di trasmesse interviste su casi di cronaca nazionale non bisognevoli di tanta ribalta e tanta quotidianità. La conduzione di interminabili dirette TV con la prassi del “dico non dico” pur di trattenere il telespettatore affamato di notizie per fare odience non si può e non si deve sempre giustifucare con il ricorrente “dovere di cronaca”: argomenti ancora in fase d’indagine devono essere rispettati come le persone che ne sono coinvolte. La brama di verità rispetto a fatti deprecabili da tutta la società viene fagocitata e sarebbe cosa buona e giusta solo una giusta e misurata cronaca dei fatti che veramente si conoscono.

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  5. Condivido pienamente i pareri sopra esposti.Visto il grande fermento che- finalmente- si sta sollevando attorno all’argomento e, soprattutto, intorno al ruolo dello psicologo in televisione, è ora di chiedere a gran voce all’Ordine regole e/o indicazioni chiare per la tutela della nostra professione. Serebbe altresì opportuno chiarire chi e cosa fa il criminologo, vista la confusione che questa “figura mediatica onnipresente” sta generando.In proposito complimenti a Simona Ruffini per il Blog in cui spiega ruoli e funzioni che il criminologo dovrebbe avere.

    Francesca

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  6. Voglio complimentarmi con la Dottoressa Valeria La Via, ho trovato la Sua analisi molto chiara e intelligente. Ho condiviso pienamente il Suo parere, specie nella parte in cui affronta il tema dell’invidia.
    La Bruzzone non ha scusanti per la pessima figura che ha fatto, che sta facendo e che continua a fare.

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  7. é certamente ancor più triste che la Commissione di Deontologia silenzi.
    Una Commissione che noi tutti sosteniamo pagando ogni anno la tassa di iscrizione all’Ordine !!!
    Chissà avranno altro da fare…

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  8. sul sito della D.ssa Bruzzone c’è questo costoso corso da essa tenuto. Ma per insegnare cose così delicate non si dovrebbe avere una specializzazione adatta? ma l’Ordine degli Psicologi non dovrebbe verificare chi può insegnare queste materie? Ma almeno un corso biennale di Psicologia Giuridica non ci vorrebbe ( e un’esperienza nel settore?). quando e come la Bruzzone ha parlato con bambini abusati? in quale Centro specializzato?

    Training Specialistico – Sex Crime Investigation – 22 e 23 gennaio 2011
    22 e 23 Gennaio 2011 – Sex Crimes Investigations Techniques and Strategies Training Course

    Roma – piazza Oderico da pordenone 3 – Polo didattico
    Weekend interamente dedicato alle tecniche di analisi investigativa e forense nei casi di violenza sessuale (su vittima adulta) e sospetto abuso su minore, la consulenza tecnica in ambito civile e penale, criminal profiling nei casi di stupro seriale, criminal profiling applicato ai child molesters, tecniche di colloquio con la vittima adulta, tecniche di colloquio con la vittima minore, psicologia e psicopatologia della testimonianza, le false acuse, le principali linee-guida per l’accertamento dell’abuso su minore, gli indicatori di abuso specifici ed aspecifici – la seconda giornata sarà INTERAMENTE dedicata all’analisi di casi reali) – Costo 200€ (150€ per studenti ed operatori di Polizia in servizio) – Sede: Training Center Polo Didattico, piazza oderico da Pordenone 3, Roma – per info ed iscrizioni: info@accademiascienzeforensi

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  9. A parte la commissione deontologica che dovrebbe intervenire per difendere i diritti degli iscritti all’Ordine, altro problema da sollevare riguarda la responsabilità di reti pubbliche (pagate con i soldi dei cittadini) che spacciano per esperti soggetti dei quali – a quanto si vede – non è stato verificato il curriculum. Chi dovrebbe intervenire in tal senso? Mi vengono in mente associazioni che difendono i consumatori, come il codacons. Che ne pensate?

    Francesca

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  10. Splendida l’argomentazione della dottoressa La Via.
    Mi lascia basita(oltre al comportamento ignobile della Bruzzone) il fatto che nessuna commissione prenda provvedimenti a proposito. Qui in Italia chiunque può improvvisarsi qualunque cosa e dire simili idiozie, come fa la Bruzzone?

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    • @chiara,

      lei invece si commenta da sola signorina chiara, credo che qui iniziando dalla via parlino tutti per invidia, per fortuna la dott. BRUZZONE è una persona seria corretta e preparata, invitata più di tutti in tv, e qui casca l’asino..quant’è brutta l’invidia..bruttissima ma lavorate per voi senza fare le pulci a che è meglio di voi…

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  11. Si ricorda ai colleghi di rilasciare commenti secondo il documento sul rispetto della netiquette dell’Osservatorio Psicologia nei Media, in quanto si rilevano alcune affermazioni molto forti, comunque a carico di una collega.

    Grazie per l’attenzione.
    Per la redazione
    Sara Ginanneschi

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  12. Siamo tutti a conoscenza che la dott. Bruzzone è vittima di uno STOLKER dei più abietti,quello che leggo sopra mi sembra un ulteriore accanirsi contro una professionista,che è invidiata e molta gente vorrebbe trovarsi al suo posto,nel caso Sara scazzi è stato detto tutto e il contrario di tutto da parte di tante persone qualificate o no a dire la loro,(vedi Meluzzi Gimelli ecc. ecc.)questo articolo è l’ennesimo tentativo di screditare la dott. Bruzzone..mi chiedo perchè non parlate di altri professionisti o tali detti,che dalle loro poltroncine nei salotti televisivi fanno mille ipotesi e danno anche pareri con non possono dare,ho sempre pensato che chi perseguita la dott. Bruzzone è una persona cattiva e invidiosa spero presto lo mettano in carcere dove devono stare gli stolker e i calunniatori.

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    • @serena, Semmai STALKER……
      Comunque a me la Gimelli piace, mi è sembrata una professionista seria, ma lo dico da “profana”…

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    • @serena, PS: E a dirla tutta non credo che la La Via abbia alcun interesse o invidia (e che scatole con questa invidia!Vedete invidia ovunque?!?) a screditare la tua “paladina” Bruzzone.

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  13. In realtà siamo tutti a conoscenza che due agenzie di stampa nazionali AGI e ANSA e quasi tutti i giornali italiani hanno riportato da più di 20 giorni il fatto che le denunce della Bruzzone erano tutte false e per motivi strumentali, alla faccia delle donne che subiscono veramente lo stalking…. vergogna!!!

    (AGI) – Roma, 8 gen – Sono state tutte archiviate le querele presentate, circa due anni fa a Roma e Tivoli dalla criminologa Roberta Bruzzone, che aveva denunciato per stalking e minaccia a mano armata, l’ex fidanzato, funzionario di polizia. L’accusa di stalking si riferiva al contenuto di una lettera di richiesta di chiarimenti (tramite un legale) circa “l’impiego” di fondi della cassa di un’associazione no-profit internazionale di Criminologi, a cui entrambi appartenevano, e circa la consistenza del curriculum presentato per l’atto di iscrizione. La procura di Tivoli ha invece archiviato la seconda denuncia presentata sempre dalla criminologa contro il suo ex accusato di minaccia a mano armata. Ma la ‘guerra’ a colpi di querela non si ferma qui: la Bruzzone ha infatti presentato una terza denuncia alla Procura di Roma, questa volta nei confronti di tutto il Consiglio direttivo dell’Associazione di Criminologi, compreso l’ex-fidanzato, ‘rei’ – secondo l’esperta di criminologia – di aver chiesto spiegazioni sempre sull’impiego del denaro destinato a un progetto in tutela dei minori. Anche questa terza denuncia, stando a quanto si apprende, sarebbe stata archiviata il 28 dicembre 2010. In conclusione le accuse mosse dalla nota criminologa nei confronti del suo ex compagno e dell’intero consiglio direttivo dell’Associazione di Criminologi non hanno trovato riscontro.

    (ANSA) – ROMA, 13 GEN – Sono state archiviate le querele presentate a Roma e a Tivoli dalla criminologa Roberta Bruzzone, che aveva denunciato, per stalking e minaccia a mano armata, l’ex fidanzato, funzionario di polizia. Le querele erano state presentate circa due anni fa. Archiviata anche una terza denuncia, questa per diffamazione, presentata alla Procura di Roma, nei confronti di tutto il consiglio direttivo dell’associazione di criminologi, compreso l’ex fidanzato di Roberta Bruzzone.

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  14. I criminologi e il circo mediatico di Marco Strano

    Negli ultimi anni nei talk show televisivi e sulla carta stampata la presenza dei criminologi che potremmo definire genericamente cone “esperti di casi e fenomeni criminali”, è diventata sempre più assidua. I pareri e le analisi che vengono fornite da questi personaggi appaiono però spesso abbastanza superficiali e scontate e soprattutto centrate più sulla colpevolezza di un individuo e sull’efficacia delle indagini in corso che alla specifica competenza della Criminologia che si dovrebbe invece occupare più della dimensione psicologica e psichiatrica del criminale che delle investigazioni. Il criminologo di formazione psico-sociologica, infatti, ha come funzione primaria quella di fornire al Magistrato di Sorveglianza una valutazione sulla pericolosità sociale di un detenuto al fine di suggerire il trattamento carcerario più adatto. Il criminologo di formazione medico-psichiatrica ha invece funzione di indicare ai magistrati giudicanti, nel corso del processo, se l’imputato aveva capacità di intendere e di volere al momento del crimine al fine di stabilire se deve essere processato normalmente o se invece, più che il carcere, è opportuno indirizzarlo verso una struttura psichiatrica (Ospedale Psichiatrico Giudiziario).

    Esistono poi in Italia altre figure di criminologi, in verità pochissimi e tutti appartenenti a forze di polizia, che forniscono il loro apporto nella fase iniziale delle indagini, quando ancora i sospetti non si sono concentrati su un individuo specifico. Si tratta dei cosiddetti profilers, che nei casi ancora irrisolti delineano un profilo di colui che “potrebbe aver commesso quel determinato delitto”. Questo profilo in realtà serve agli investigatori per limitare la rosa dei sospetti e ad ottimizzare le risorse investigative, concentrandole sui soggetti più probabili.

    Nel mondo operano diverse scuole di profiling e quella statunitense è probabilmente la più famosa, abilmente veicolata anche da film di successo e da alcune riuscite serie televisive tipo “criminal minds”. L’approccio americano è molto centrato sulla statistica e sfrutta database dove vengono diligentemente inseriti casi di vario genere. L’approccio europeo è maggiormente logico e deduttivo ed è centrato sull’analisi della scena del crimine, della vittima e delle informazioni investigative. In effetti la professione del criminologo in Italia non è regolamentata. Non esiste un albo professionale come per i medici o gli psicologi e di fatto chiunque può auto-ascriversi il titolo di criminologo. E’ come dichiararsi esperto di fenomeni criminali. E dove non c’è una regolamentazione precisa dovrebbe esserci il buon senso. Ci vorrebbe una laurea in materie compatibili (Medicina, Psicologia, Giurisprudenza, Sociologia ecc.) e una formazione post-laurea specialistica. E ovviamente una buona esperienza sul campo.

    Ma il buon senso spesso non c’è. Come nel caso di un Ragioniere di Padova che dopo aver frequentato un corso di 4 giorni in america ha cominciato a proporsi come esperto della scena del crimine e addirittura a proporre corsi di formazione su tale tematica. E il risultato di questa situazione è l’imbarazzo dei criminologi veri, quelli con decenni di esperienza sulle spalle e l’assoluta perdita di credibilità della professione. Non è un caso, del resto, che sulla figura del criminologo ci abbiano messo l’occhio anche i comici che hanno intuito che all’interno di questa area professionale alberga soventel’improvvisazione. Il gruppo di Simona Ventura a “quelli che il calcio” su RAI2 ha inserito tra le sue “gags” proprio i criminologi e anche Gene Gnocchi su Rai 3 per diverse settimane ha scherzato pesantemente su questa professione. Stessa cosa per Zelig e altri programmi di satira.

    Ma torniamo ai criminologi dei talk show. Fermo restando che non c’è niente di male nel fornire ai telespettatori delle interpretazioni su un delitto, occorre però fare delle valutazioni di fondo. In primo luogo un criminologo serio ha bisogno di documentazione “di prima mano” per esprimere un parere specifico altrimenti può solamente fare delle valutazioni statistiche e logiche ma senza azzardare un giudizio di colpevolezza o il profilo di un presunto colpevole. In altre parole è necessario poter accedere al fascicolo investigativo per poter esprimere una valutazione attendibile altrimenti le possibilità sono due: o si rimane sul generico, rischiando di apparire banale, oppure si rischia di giungere a conclusioni non supportate da basi scientifiche.

    Ma la legge dei media impone a volte anchela superficialità. La soluzione trovata da diversi criminologi televisivi è stata a dir poco geniale. Considerando che nel 90% dei delitti la vittima conosceva il suo assassino (anche perché non si capisce perché dovresti uccidere uno che non ti ha fatto nulla….), che la maggior parte degli assassini sono uomini e che statisticamente le persone uccidono maggiormente in una fascia di età dai 25 ai 50 anni, è sufficiente, quando il conduttore televisivo di turno formula la fatidica domanda rispetto al nuovo crimine insoluto: “dottore, chi potrebbe aver ucciso”? rispondere ostentando una certa sicurezza: “sesso maschile, di età dai 25 ai 50 anni e con una conoscenza pregressa della vittima”…. In circa il 90% dei casi ci si azzecca e si fa un figurone. Il problema è che un investigatore che si sente prospettare un simile profilo ha di fronte, in una nazione come l’Italia, almeno una ventina di milioni di possibili autori e ovviamente non può utilizzare tale informazione in nessun modo.

    Certamente può capitare che una vecchietta di 80 anni, fisicamente in forma e cattivissima, che non aveva nessuna conoscenza della vittima possa uccidere e quindi “sbugiardare” la previsione del nostro criminologo televisivo. Ma è abbastanza scontato che un’evenienza di questo genere è assai rara e poi, tutto sommato, potrebbe rappresentare un isolato incidente di percorso del criminologo che rimane comunque autorevole e continua ad essere invitato nei salotti mediatici. Da Porta a Porta a Matrix, da Pomeriggio sul due ai programmi domenicali di Mediaset, non c’è un nuovo caso di cronaca in cui non viene formulata dal criminologo di turno la fatidica frase: “…l’assassino, certamente un uomo, conosceva la sua vittima, bisogna quindi cercare nella cerchia dei parenti o dei conoscenti…”. Francamente non è difficile immaginare che il pubblico dotato di un minimo di spirito critico non si sia reso conto della superficialità di tale apporto e abbia fiutato l’inganno.

    Ma in fondo, come si suol dire, a questo mondo c’è posto per tutti. Sul fatto che però tali pareri non facciano male a nessuno invece sono stati avanzati numerosi dubbi. La capacità di influenzare le persone da parte dei media è cosa oramai risaputa e tra le “persone” siano essi telespettatori o lettori ci possono essere anche coloro che a vario titolo sono direttamente interessati alle indagini di quel delitto. E non è un caso che negli Stati Uniti venga preclusa, nei limiti del possibile, alle giurie popolari che devono esprimere un verdetto di colpevolezza, la fruizione di programmi televisivi e giornali.

    Sta di fatto che in Italia in occasione di alcuni omicidi famosi come Cogne, Garlasco e la più recente Sara Scazzi, si è assistito a una sorta di processo parallelo celebrato in televisione con tanto di giudici, investigatori e periti, a volte completamente estranei alle indagini e quindi disinformati, a volte, cosa assai più grave, coinvolti come parte e quindi deontologicamente inadatti a fornire informazioni pubblicamente. Ma la legge dell’audience impone questo e altro.

    Ma quali sono i casi che finiscono in questa trattazione mediatica esasperata e diventano famosi? Normalmente quelli irrisolti che consentono di essere trattati come dei veri e propri “gialli”. Sela Poliziariesce in poche ore a trovare un colpevole il delitto non si genera suspence e quindi rimane sulle pagine dei giornali per poco tempo e viene forse raccontato incidentalmente in un telegiornale minore. In tutto il mondo, del resto, ogni 10 omicidi che avvengono almeno 4 rimangono insoluti. Quattro assassini su dieci la fanno franca. Quandola Polizianon riesce a scoprire un omicidio per gli addetti ai lavori non è una cosa atipica ma rientra nei fisiologici limiti dell’apparato investigativo.

    E gli omicidi che vengono scoperti in percentuale minore sono solitamente quelli maturati nell’ambito della criminalità organizzata e commessi da killer professionisti che lasciano poche tracce e che operano in ambienti culturali omertosi dove è difficile trovare testimonianze. Gli omicidi “intrafamiliari”, quelli commessi da un parente da un amico stretto o da un vicino di casa, sono sulla carta più semplici da risolvere poiché gli investigatori hanno la possibilità di individuare un movente tra le persone vicine alla vittima. E poi abitualmente un assassino poco professionale lascia più tracce. Ma non è sempre così facile. Edmond Locard, uno dei padri dell’investigazione scientifica moderna ci ha insegnato che un criminale lascia sempre qualcosa di se nell’ambiente dove avviene l’omicidio e che sempre qualcosa di quell’ambiente rimane attaccato all’assassino.

    Si tratta solo di saperlo trovare. In altri termini gli investigatori sono particolarmente efficaci nel dimostrare che un soggetto era presente in un determinato luogo cercando i segni della sua presenza (DNA, impronte digitali ecc.). Se il sospettato aveva dichiarato di non essere stato in quel luogo è bello che incastrato e l’inchiesta si conclude velocemente. Ma nella maggior parte dei delitti irrisolti degli ultimi anni o in quelli dove il verdetto ha lasciato una scia di polemiche, l’assassino aveva modo e ragione di frequentare abitualmente il luogo dove è avvenuto il delitto. Trovare una sua impronta sulla scena del crimine non è quindi più un elemento risolutivo. Il sospettato può infatti giustificarla dicendo di averla lasciata in una fase temporale precedente a quella dell’omicidio. Il giallo di Garlasco è uno di quelli così come Cogne e Avetrana. Vengono trovate delle tracce ma non si riesce a stabilire con assoluta certezza se il principale sospetto le ha lasciate mentre uccideva.

    Potrebbe averle lasciate prima oppure al momento della scoperta del cadavere. Insomma in tutti i questi casi il “principio di interscambio” di Edmond Locard perde di valore assoluto e le azioni della Polizia scientifica, pur se estremamente sofisticate, entrano un po in crisi. Certamente esistono delle tecniche di indagine che cercano di dare anche una origine temporale a una traccia. Trovare una impronta digitale o di scarpa fatta con il sangue della vittima indica sicuramente che il proprietario di quella impronta ha lasciato la traccia dopo che è avvenuto l’omicidio. Ma siamo sicuri che senza ombra di dubbio l’ha uccisa lui? E se si fosse sporcato toccando il cadavere per capire se era realmente morto? Insomma visto che per il nostro Diritto Penale una persona deve essere dichiarata colpevole “solo in assenza di qualsiasi ragionevole dubbio” la prova scientifica, pur se importantissima, non è la verità assoluta ma a volte può dare diverse spiegazioni.

    E in questo senso la polemica sui rischi di affidarsi esclusivamente alle indagini scientifiche è particolarmente attuale. Abbandonare le indagini convenzionali, fatte di intuito, di testimonianze, di ricerca delle contraddizioni negli interrogatori è ritenuto da molti un grave errore. Certamente l’illusione di poter spiegare sempre tutto con il responso di un laboratorio è molto diffusa, rinforzata anche dai telefilms CSI e derivati. Riuscire in pochi minuti, sfruttando la semi-infallibilità della Scienza moderna a risolvere un caso intricato è una chimera che stuzzica anche magistrati e poliziotti. Ma spesso è solo una illusione mendace. I casi risolti grazie alla sola sulla prova scientifica in effetti non sono molti. Secondo la maggior parte degli investigatori la scoperta di un delitto e il successivo esito positivo di un processo, ovvero la condanna di un colpevole certo o la sua assoluzione “senza dubbi” avvengono quasi sempre per una serie di circostanze in cui la prova scientifica è integrata e supportata da valide e intelligenti indagini convenzionali.

    E cosa avverrà in futuro in questo delicato settore? Aumenteranno i casi risolti o ancora molti assassini rimarranno impuniti? La risposta è legata anche a quanto la società è disposta a investire in questo settore e a quante innovazioni saranno introdotte. In Gran Bretagna, con l’introduzione della banca-dati del DNA il numero dei delitti scoperti è aumentato vertiginosamente. Attualmente in Italia, dove questa banca dati non c’è, in moltissimi casi è stata trovata una traccia biologica contenente il DNA dell’assassino ma non essendoci la possibilità di comparare tale traccia non si è riusciti a identificare il responsabile. E l’altra dimensione chiave nel successo investigativo è legata alla preparazione professionale dei poliziotti e dei magistrati. La rapida evoluzione delle tecniche di indagine impone infatti una formazione specialistica e soprattutto continua in coloro che combattono il crimine. Sempre più delitti nascondono la chiave della loro scoperta nella memoria di un computer o in altri ambiti della tecnologia digitale, nascono nuovi metodi di indagine biologica con cui è necessario avere dimestichezza, e la capacità di anticipare le mosse di un assassino conoscendo la sua psicologia costituisce sempre più una dimensione conoscitiva indispensabile per l’investigatore moderno.

    Dalla capacità di investigatori, magistrati, criminologi ed esperti forensi di migliorare le loro capacità professionali e dagli investimenti tecnologici e strutturali in questo comparto dipenderà quindi nel futuro prossimo il miglioramento della capacità di scoprire i delitti e di assicurare i colpevoli alla giustizia. E se questo non avverrà? Niente paura, possiamo continuare a risolvere brillantemente i casi nei talk show televisivi e scoperto l’assassino poi andiamo tutti a dormire (tardi) felici e contenti…..

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    • @MARCO STRANO, ma il dono sella SINTESI non vi appartiene…ieri sera ho avuto modo di vedere la dott. BRUZZONE in tv da VESPA non mi sembra se la passi male,dopo tuttu quegllo che qualcuno gli ha vomitato addosso,con richieste di curriculum e originali e un sacco di altre cose,volete sapere pure quante volte và in bagno??

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    • Caro Tanganelli dall’articolo si capisce che era un’attività fatta (10 anni fa) per reperire fondi per un progetto di ricerca e si capisce anche qual’era il ruolo dei vari personaggi…. Quando non si hanno raccomandazioni politiche o non si fanno marchette occorre industriarsi….

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